Il Teatro a Genova a fine Settecento: ricostruzione storica con qualche polemica

«Il mio obiettivo è… la perfezione tecnica. Posso aspirarvi senza limite, poiché sono certissimo di non raggiungerla mai. L’importante è avvicinarvisi ogni giorno un poco di più».

Lo sosteneva Maurice Ravel e il suo obiettivo può essere non solo condiviso, ma esteso a tutti i campi. Marco Sciaccaluga, ad esempio, nel definirsi un “minatore ostinato”, riprendeva un concetto analogo:  un regista deve ricercare la verità, pur consapevole che la “Verità” non si trova mai: l’importante è continuare a inseguirla, passo dopo passo, messa in scena dopo messa in scena.

Nel mondo della ricerca musicologica il discorso è analogo. Ogni studio porta avanti una indagine fissando una tappa dalla quale si ripartirà per raggiungere un nuovo obbiettivo. E così via.

La premessa per introdurre il libro Il Teatro a Genova a fine Settecento – Impresa, costume e società (1772-1797) edito recentemente dalla prestigiosa Libreria Musicale Italiana e firmato dal giovane studioso genovese Davide Mingozzi, attualmente docente a contratto presso la nostra Università.

Il volume, di 460 pagine, con prefazione di Elisabetta Pasquini e postfazione di Raffaele Mellace, costituisce un  nuovo punto fermo nello studio del teatro a Genova negli anni che segnano il tramonto della gloriosa Repubblica Genovese, quando i palcoscenici attivi erano pochi e su tutti dominavano il vecchio Falcone e il più giovane Sant’Agostino: il Carlo Felice, riprodotto nella copertina, sarebbe arrivato nel 1828, molti anni dopo, dunque, il periodo preso in esame.

Mingozzi ha articolato il suo scritto in quattro parti che  affrontano il tema da angolazioni differenti: l’autunno della Serenissima Repubblica di Genova (1746-1797), con un approfondimento sulle istituzioni politiche della città e sui teatri allora in funzione; l’impresa dei teatri genovesi con uno sguardo sull’importante tema dell’impresariato; la vita quotidiana dei genovesi a Teatro, un racconto articolato di piccoli e grandi incidenti, scandali, censure, curiosità spesso emerse dai cosiddetti “biglietti di calice”, straordinario strumento per il mugugno dei genovesi; la gestione dei teatri e i rapporti con le istituzioni, sezione nella quale l’autore si sofferma tra l’altro sulla figura di Giovanni Battista Serra, primo violino “contestato”, sugli strumentisti che formavano il complesso genovese e sulle loro paghe, ma anche su una famiglia di copisti e suggeritori, i Tacconi.

Uno studio quello di Mingozzi frutto di un’attenta ricerca sulle diverse fonti oggi disponibili e probabilmente destinato ad arricchirsi ulteriormente pian piano che verranno approfonditi e catalogati ulteriori fondi privati.

Nell’Appendice, infine, l’autore propone la cronologia degli spettacoli (1772-1797), facendola precedere da una premessa metodologica nella quale, con un tono da “maestrino con la penna rossa”, bacchetta la precedente Cronologia (I palcoscenici della lirica – Cronologia degli spettacoli teatrali, 1645-1992) redatta dallo scrivente con alcune collaboratrici, circa trent’anni fa, quando le fonti erano assai meno facilmente consultabili e gli archivi online un sogno. Non è qui il caso di aprire una polemica con un giovane e certamente preparato collega. Ci si limita a poche osservazioni. La Cronologia (della quale viene anche sottolineata la “organizzazione in vero assai curiosa”) intendeva dare uno sguardo d’insieme a un periodo estremamente ampio rispetto all’ultima Cronologia completa del Frassoni (1772-1978). A distanza di trent’anni circa dalla pubblicazione, il lavoro presenta certamente lacune e omissioni, alcune dovute al normale “errore” umano, altre alla maggiore difficoltà di controllo delle fonti (il fondamentale studio del Sartori sui libretti a stampa, ad esempio, allora appena uscito, negli anni della ricerca d’archivio era reperibile ancora solo parzialmente). Di tali omissioni ed errori lo scrivente era del resto ben conscio e  nel 1995 sulla rivista “Berio” (n.1, Anno XXXV, gennaio-giugno 1995) aveva redatto una prima “errata corrige”. E’ curioso tuttavia che nell’ evidenziare le mancanze dello scrivente, l’autore  abbia riportato un esempio…. corretto. Osserva infatti Mingozzi che un errore  frequente nelle indagini sul Settecento è causato dal fatto che spesso una stessa opera viene presentata in due teatri o in due città con un titolo differente. Nel caso in questione dunque lo scrivente sarebbe caduto nell’equivoco di non accorgersi che due opere segnalate (La finta muta per amore e Il capitan Tenaglia) si riferivano alla stessa partitura di Moneta. In realtà nella nota a pag. 75 indicavo proprio la coincidenza di questi due titoli. Insomma, fra tante rigacce rosse, almeno una me la sono evitata.