Questa è la storia di una madre e di una figlia. La madre è Enrica Origo e torna sul palcoscenico dopo avere fatto per trent’anni la maestra elementare. La figlia è Lisetta Buccellato e per la prima volta lavora in Italia come costumista e collaboratrice alle scene. Lo spettacolo è lo stesso: La vita che ti diedi di Luigi Pirandello con la regia di Stéphane Braunschweig, nuova produzione del Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, al Carignano dal 9 al 28 aprile 2024. Sono nate nel 1956 e nel 1991.
Enrica Origo, che effetto fa tornare a recitare?
Enrica: «Molto strano. Ho sostenuto il provino sull’ultimo palco che ho calcato: era il 1985 e giravamo con L’alcalde di Zalamea di Calderón de la Barca diretto da Marco Sciaccaluga per il Teatro Stabile di Genova, la mia città. Mi sono sentita come Alice nel Paese delle meraviglie. È stato un incontro bellissimo e già mi bastava. Invece ho ricevuto una telefonata: la parte di Elisabetta era mia. Il primo pensiero è stato: adesso gioco un po’ io».
Chi giocava prima al posto suo?
Enrica: «I bambini, con cui non ho mai smesso di fare teatro. Alla scuola Mazzini di Genova, dove ho lavorato e io stessa sono stata alunna, c’è un teatrino ora intitolato a Iqbal Masih. Lì ho insegnato storia partendo per esempio dai registri dell’istituto, dove un giorno abbiamo trovato anche Bruno Lauzi. Il teatro è il mare dove ho sempre navigato e ho trovato la mia acqua nel mondo dell’infanzia, fatto di semplicità e fantasia, ingredienti perfetti per capirne la potenza vitale. Un bambino, quando ha saputo che lasciavo l’insegnamento, mi ha detto: “Ma non andrai mica a fare teatro!”. Gli ho risposto “Chissà”. E lui: “Allora ho capito. Tu non sei proprio una maestra, sei un’attrice che recita la parte della maestra”».
Perché ha smesso di recitare?
Enrica: «C’era la famiglia, c’erano due figli. Avevo in tasca il diploma di insegnante e ho proseguito dentro il mondo dell’infanzia quello che avevo iniziato con Jerzy Grotowski e proseguito nei due anni di lavoro con Carlo Cecchi. Ma la verità è che nell’insegnamento sono confluite tutte le mie esperienze precedenti: l’entusiasmo travolgente del primo spettacolo con Egisto Marcucci, La donna serpente di Carlo Gozzi, creato dallo Stabile di Genova nel 1979, così come la tesi in Storia sulle famiglie nobili genovesi sostenuta con Claudio Costantini. Nel 2015 ho scritto e diretto Parlaci di Iqbal, dopo avere incontrati il sindacalista Eshan Ullah Khan, che lo aveva liberato dal fabbricante di tappeti che lo teneva incatenato al telaio. Iqbal è stato ucciso a 12 anni per la sua lotta contro lo schiavismo infantile. Un bambino anche lui».
Perché ha partecipato al provino?
Enrica: «È stata mia figlia Lisetta a convincermi. Vive a Parigi e quando ha saputo che avrebbe lavorato in Italia mi ha coinvolta. Subito le ho detto di no, ma lei ha insistito. “Cercano la parte di Elisabetta. È piccola. Per ricominciare va benissimo”. Così ho provato».
Lisetta, perché ha spinto sua madre a tornare sul palco?
Lisetta: «Secondo me un’attrice non smette mai di esserlo. Nel suo fare la maestra, il suo essere attrice e regista è sempre stato vivo. Questo spettacolo è un bel modo di ritrovarci in Italia».
Lei come mai vive a Parigi?
Lisetta: «Ci sono arrivata con l’Erasmus da Genova, al quarto anno di Architettura. A Parigi ho frequentato una scuola di scenografia che mi ha permesso di continuare a progettare in un contesto più artistico, di cui sentivo la mancanza. Mi è sempre piaciuto disegnare, dipingere. Da bambina lo facevo accanto a Lele Luzzati. Dopo la laurea mi sono iscritta alla Scuola del Teatro Nazionale di Strasburgo per seguire il corso di Scenografia e Costumi. I posti sono pochissimi ed è molto selettiva. Venticinque persone che rappresentano tutti i mestieri dello spettacolo, dall’attore al tecnico, studiano insieme per tre anni. Sono riuscita e entrare e devo dire che dopo non ho avuto difficoltà a trovare lavoro. Ho iniziato a collaborare con diversi registi, fra cui Braunschweig, direttore dell’Odéon a Parigi, e soprattutto Julien Gosselin con cui ho unito cinema e teatro. Nei suoi spettacoli la scena teatrale diventa un set e una parte dell’azione viene ripresa per essere mostrata agli spettatori mentre accade al di fuori del loro campo visivo. Il pubblico vede contemporaneamente il set e il teatro».
Quando è entrato il teatro nella vostra vita?
Enrica: «Mio padre Giorgio, grafico, durante la guerra a Foggia allestiva spettacoli con le truppe alleate. A Genova sarebbe poi entrato in un’azienda siderurgica. A casa giocavamo a Pierino e il lupo. Io facevo l’anatra, mio fratello Francesco l’uccello, mio fratello Carlo era Pierino e papà il lupo. Il teatro è entrato nella mia vita sul tappeto del salotto, un tappeto volante. Abitavamo a Sampierdarena. Francesco, detto Checco, era una comica. Faceva ridere tutti. Il primo a farne una professione è stato lui. Un suo professore di liceo, Bruno Bartoli, gli ha suggerito di tentare la Scuola di recitazione dello Stabile, dove ha trovato un altro Bartoli fra gli insegnanti, Marcello. È stato Francesco, detto Checco, a dirmi di provare anch’io e sono entrata. All’inizio di nascosto da mamma e papà, che erano contrari anche se la passione era nata grazie a loro. La mamma, farmacista, adorava il cinema, i fratelli Marx, la Nouvelle Vague, sapeva tutto di Hollywood».
Lisetta: «Sono nata col teatro addosso. Sono cresciuta con i racconti de La donna serpente, in cui recitavano la mamma, lo zio Checco, la zia Benedetta. Il mio primo ruolo è stato Puck con la regia della mamma, a scuola. Il primo spettacolo di cui ho memoria è Kontakthof di Pina Bausch. Sono rimasta incantata, ne sono uscita scossa».
La donna serpente vi ha cambiato la vita.
Enrica: «Sì. Sono stata scritturata dopo tre mesi di scuola e ho fatto parte di un’esperienza straordinaria, condivisa con mio fratello Checco. Ivo Chiesa ci disse che lo avremmo raccontato ai nostri figli, e così è stato. Ricordo che quando eravamo in tournée al Teatro Eliseo di Roma, abbiamo ricevuto una lettera della mamma. Diceva di non illuderci, perché non sarebbe stato sempre così bello. Una delle ultime cose che mi ha detto Checco prima di morire, nel 2022, è stata: “Sappi che a me il teatro è piaciuto soprattutto con La donna serpente. Poi mi sono annoiato e ho cominciato a fare il regista».
Ha dato uno svolta anche alla vita privata.
Enrica: «Sì, perché ha unito due famiglie, gli Origo e i Buccellato. Checco ha sposato Benedetta Buccellato, che faceva parte del cast. Al loro matrimonio ho conosciuto Francesco, fratello di Benedetta, e siamo diventati marito e moglie. Una vena artistica che tocca anche mio figlio Marco, fisico di mestiere e cantautore col nome d’arte di Boccanegra, e mio nipote Giovanni Battista Origo, regista cinematografico».
Quante eredità, Lisetta.
Lisetta: «Tanti ricordi bellissimi. Quando lo zio Checco ha fondato la Compagnia Çàjka a Cagliari e Teatridimare, portando il teatro di porto in porto con la barca a vela insieme alla sua nuova compagna Barbara Usai, bravissima attrice, noi li raggiungevamo in tutte le tappe. Li aspettavamo sul molo, la mamma con l’organetto. Sono sempre stata molto felice di condividere quei momenti. Ho la sensazione di avere fatto parte di una compagnia da quando ero piccola».
E ora?
Enrica: «Ora ci mettiamo al lavoro».
Lisetta: «Ora è bello discutere del testo insieme».
Prossimo sogno?
Enrica: «Per ora vivo questo fino in fondo».
Lisetta: «Lavorare nel cinema in Italia».