Rinasce il Chiabrera con una grande Traviata

“Tenere vivo e aperto il teatro diventa, in un periodo come questo di enormi difficoltà legate al Covid, il messaggio più forte e di speranza che possiamo offrire al pubblico”. La dichiarazione di Giovanni Di Stefano, presidente e direttore artistico dell’Opera Giocosa, è forte e chiara ed aggiunge importanza sociale a quello che è stato ieri sera uno spettacolo già ricco di aspetti rilevanti e di valore, per così dire, altamente simbolico.

Innanzitutto La Traviata è in qualche modo l’emblema del teatro lirico italiano nel mondo. Composta in soli quaranta giorni e rappresentata per la prima volta il 6 marzo 1853 al Teatro La Fenice di Venezia, racchiude in sé – anche grazie al libretto di Francesco Maria Piave tratto da La dame aux camélias di Alexandre Dumas figlio – una forza unica e modernissima per i temi trattati. Tra l’altro, proprio nel 1853, pochi mesi dopo il debutto infelice di Traviata, fu inaugurato proprio lo stesso Teatro Chiabrera con un’altra opera verdiana, l’Attila. Il palcoscenico è una delle realtà artistiche più attive della Liguria ormai da anni, e in particolare dal 1986, da quando cioè è sede del Teatro dell’Opera Giocosa, istituzione riconosciuta dal Ministero dei Beni Culturali quale Teatro di Tradizione.

Un altro motivo per cui questa produzione assume una rilevanza particolare è la regia di Renata Scotto, la grande artista savonese che proprio al Chiabrera, la vigilia di Natale del 1952, debuttò diciottenne nel ruolo di Violetta (ruolo che ripropose in seguito con grande successo in teatri vari ed in due incisioni storiche, dirette da Votto e Muti).

Coprodotto dalla stessa Opera Giocosa di Savona con il Reate Festival e il Teatro Coccia di Novara, il nuovo allestimento creato da Michele Olcese e nato grazie alla collaborazione e al sostegno della Fondazione Arena di Verona, si è avvalso di un cast di alto livello con Rosa Feola (Violetta Valéry), Leonardo Sanchez Rosales, giovane tenore messicano che proviene dall’Opera di Zurigo (Alfredo Germont), Sergio Vitale (Giorgio Germont) e Matteo Peirone (Dottor Grenvil). L’ Orchestra Sinfonica di Savona è stata diretta dallo stesso Giovanni Di Stefano e il coro del Teatro dell’Opera Giocosa da Gianluca Ascheri.

Grande emozione, dunque, fin dai primi momenti in cui è iniziata la magia nell’elegante sala a ferro di cavallo a quattro ordini, la cui capienza di 626 posti è stata ovviamente dimezzata in ottemperanza alle leggi anti Covid 19. Da subito l’allestimento è parso coerente e fluido, frutto insomma di una solida collaborazione di artisti e competenze sapientemente guidati da una mano esperta che ha approfondito, amato e vissuto personalmente il capolavoro verdiano.

Al centro della scena, ovviamente, sempre Violetta: la personalità artistica della casertana Rosa Feola – giovane soprano che ha già percorso un itinerario importante nel mondo dell’opera a livello internazionale – è emersa fin dalle prime scene e poi nel corso di tutti i tre atti (i primi due tra l’altro, rappresentati di seguito sempre per motivi legati alla situazione dell’emergenza): voce luminosa, dotata di chiarezza nella dizione e spiccata musicalità, ha dimostrato di saper interpretare con scioltezza quello che è considerato uno dei caratteri più complessi nella storia del teatro musicale italiano.

In Violetta infatti convivono due donne opposte, una più leggera nella prima parte della storia, e una più drammatica e passionale in seguito, la quale affronta con coraggio gli eventi che si fanno – come sempre accade nei potenti drammi verdiani – via via più incalzanti verso il tragico finale. In realtà i tipi di vocalità richiesti per questo personaggio sono addirittura tre, uno per ciascun atto: soprano leggero, lirico e drammatico. La voce plastica e dinamica della Feola, già a suo agio nelle agilità del primo atto (“Libiamo” e la cabaletta “Sempre libera…”) così come nei momenti patetici del secondo (il duetto con Germont “Pura siccome un angelo”), ha regalato al pubblico momenti di grande emozione: l’ “Addio del passato”, grazie anche alla sensibilità ed alle doti attoriali della cantante, è stato un vero gioiello.

Bravi anche gli altri interpreti: il giovane Sanchez Rosales, voce adatta al ruolo, via via sempre più convincente anche sotto il profilo teatrale a partire dal secondo atto; il baritono Vitale, perfetto nei panni di Germont padre, personaggio dinamico, interessante proprio perché problematico e complesso, in quanto evolve dall’apparente ipocrisia del primo atto alla sensibilità dell’ultimo; Francesca Di Sauro, una Flora frizzante, buona interprete così come Matteo Peirone e gli altri cantanti.

Ma il tutto può dirsi riuscito appieno soprattutto grazie alla regia della Scotto, che il pubblico savonese ha omaggiato poi sul proscenio con applausi a non finire. Suggestive le scene di Michele Olcese (con un efficace cambio di scena a vista tra i due quadri del secondo atto) grazie anche alle scelte cromatiche delle luci di Andrea Tocchio: le tinte pastello scintillanti per il frivolo salotto iniziale; la scala di grigio per la casa dei due amanti, teatro di intensi duetti; il rosso profondo della passione, della gelosia e della festa nel brioso finale del secondo atto (ma quel focus di fredda luce chiara su Violetta accasciata ed umiliata al suolo è un presagio di morte); il bianco algido del finale tragico.

Un elogio all’orchestra guidata da Giovanni Di Stefano e al coro – magistralmente diretto da Gianluca Ascheri – coeso e dinamico fin dal brindisi iniziale e ancor più nella parte centrale con le zingare e i mattadori: momento felice e festoso grazie anche alle coreografie di Giovanna Badano per i quattro ballerini del Gruppo Palcoscenicodanza.

“Investire nell’arte riaprendo i battenti del teatro Chiabrera è un prepotente atto di fiducia nel futuro da opporre alle avversità” avevano sottolineato gli organizzatori nella presentazione dell’evento. E nei calorosi applausi del pubblico ai bravi artisti abbiamo sentito vibrare intensamente anche questo canto di speranza.