Nervi celebra Caruso, trionfo del patrimonio culturale italiano

L’ultima produzione del Teatro Carlo Felice al Nervi Music Ballet Festival, prima del gran finale con Alice canta Battiato, è lo spettacolo “Caruso. Contaminazioni migranti”. Buona  la risposta del pubblico, anche perché i tre pilastri semiotici, vale a dire parola-musica-scena, ben si sono amalgamati superando la mera funzione rappresentazionale per arrivare dritti all’interazionale, a quella capacità di distribuirsi su  tutti i partecipanti dell’atto comunicativo,  per primo il pubblico. A volte sin troppo, viste alcune sparute voci dopo la ventesima fila che si sono messe a “intonare” i pezzi più celebri con dubbio gusto e opportunità, ma indubbio grande coinvolgimento. Novanta minuti di arie celebri da Rossini a Gounod a Verdi, a Bizet, Puccini, Mascagni sino al tempio della musica per eccellenza il Metropolitan, i successi di Caruso e i dispiaceri della guerra o della malattia. In generale dunque lo spettacolo di Venti Lucenti ha dimostrato di funzionare.

Del resto non era né facile né scontato superare le insidie dell’omaggio al grande tenore napoletano con tutti gli annessi e connessi, dall’operazione nostalgia all’eccesso fino alla delicatezza di un tema, come quello dell’emigrazione verso le Americhe oppure il dolceamaro dell’idea di un nuovo mondo. Eppure sul palco, per definizione, tutto è possibile. “Persino traghettarsi sull’idea di portualità che strizza l’occhio a Genova, a un melting pot di idiomi e di culture, che ricorda anche quel prossimo museo Museo Nazionale dell’Emigrazione che sta prendendo corpo”: sono parole dell’assessore alla Cultura Barbara Grosso, tra le voci istituzionali insieme al Sovrintendente del Teatro Carlo Felice Claudio Orazi e ai coordinatori generali che hanno promosso il progetto Paola Carruba e Paolo Masini (Mei).

Bene l’orchestra, le voci e la fisicità stessa di queste voci, alcune coerentemente espressive, altre garbate che nel pubblico vengono ben commentate tra forme e stili, visto l’ampio parterre di addetti ai lavori e il pubblico abituale del Teatro. Funzionalità e fascino in un Parco come quello di Nervi erano di facile unione, meno semplice dare a Caruso la caratterialità, la strisciante malinconia che lui stesso definiva sofferenza, la convinzione che le vere emozioni si vivessero (solo) sul palco ,  intensissime ma scritte da altri, senza tralasciare un assioma fondamentale: “Quelli che non hanno mai provato niente, non possono cantare”.

Vero, le voci giovani e agili splendide nella tecnica non sanno dare tutte quelle sfumature di chi non solo ha vissuto, ma ha vissuto a pieno, che poi è uno dei grandi battibecchi che di solito hanno i diplomandi in Conservatorio col proprio Maestro, quando si sentono dire che il programma prescelto è troppo maturo… Digressioni a parte lo spettacolo è piaciuto, del resto il cast era bilanciato il tenore Manuel Pierattelli, il soprano Francesca Benitez e gli attori Gabriele Zini e Chiara Casalbuoni  che sono stati affiancati anche da alcuni giovani dell’Istituto Deledda e dal coro delle voci bianche. Sicuramente le voci del coro han fatto miracoli ( grazie alla preparazione del Maestro Gino Tanasini), di solito si prova per dei mesi per essere affiatati e col coronavirus di mezzo tutto è stato difficile. Anzi, questo spettacolo è stato “folle” sin dall’inizio visto che è stato progettato in periodo pandemico… Piacevole scrittura scenica, regia e costumi di Manu Lalli  e le elaborazioni musicali di Luca Giovanni Logi. Buona resa di tutti i partecipanti dall’Orchestra Pequeñas Huellas e del maestro concertatore e direttore Dietrich Paredes.

Ma perché convince questo assaggio di Caruso? Perché rappresenta il suo carattere: “essere nero fumo come il Vesuvio e poi di colpo scoppiettante”. E perché si apre e si chiude con una delle opere che  più gli ha portato onori e fama, con il carisma drammatico de I Pagliacci di Leoncavallo. Su tutto una consapevolezza: la musica come riscatto sociale, non solo come arte. Caruso lascia sul finale un monito: ” non sentire la musica, non viverla, ben oltre il significato delle note, non darle passione, gioia, disperazione e tutti i sentimenti umani, non renderla vera sarebbe il più grave peccato contro lo spirito”.