Sokolov e l’enigma Schumann

Ci voleva Grigory Sokolov per rivedere la platea del Carlo Felice affollatissima. Ieri sera, ospite della Giovine Orchestra Genovese il grande pianista russo ha richiamato il pubblico delle grandi occasioni, convincendo a tornare anche quegli spettatori che, forse per una forma giustificata di prudenza, fino a questo momento avevano limitato le loro presenze a teatro.

Programma diviso in due parti con Schumann prima e Rachmaninov dopo.

Del compositore tedesco, Sokolov ha affrontato la ostica Kreisleriana, pagina che riflette appieno l’enigmatico mondo interiore  schumanniano diviso fra la passionalità di Florestano e l’atteggiamento più pacato e riflessivo di Eusebio.  Gli otto brani che compongono la Fantasia, dunque, alternano scatti impetuosi a episodi di elegante lirismo in una scrittura tuttavia sempre intricata nella sua architettura “polifonica”, cifra distintiva del pianismo schumanniano. Sokolov l’ha risolta con la consueta chiarezza espositiva, giocando come sa far lui, sui piani dinamici, esibendo una tavolozza magnifica di colori. Tuttavia, se ci si può permettere un appunto a un artista indiscutibilmente grande, Sokolov non ci è parso del tutto a proprio agio con la pagina di Schumann: l’impressione è che l’artista russo non si sia calato completamente nell’infinito mondo interiore del musicista tedesco. Un dialogo fra compositore e interprete non ancora definito in tutte le sue sfumature.

Perfetto, invece, il successivo Rachmaninov con i Preludi op. 23 restituiti con una ampiezza di colori, di respiri, di raffinatezze assolutamente straordinaria.

Applausi interminabili e bis (chi scrive ha ascoltato i primi due).