Carlo Felice: il Beethoven dimezzato, rimane grande grazie a Haenchen

Un concerto dai due volti, ieri sera al Carlo Felice, nell’ambito della stagione sinfonica. Una prima parte in un clima di emergenza, una seconda assolutamente straordinaria.

Il coro a ranghi ridotti

Il programma, affidato alla esperta bacchetta di Hartmut Haenchen prevedeva nella prima parte la cantata per coro e orchestra Meerestille und gluckhicle Fahrt di Beehoven e la Messa per soli, coro e orchestra di Schubert. Lo sciopero proclamato dalla sigla sindacale SNATER cui aderisce parte del coro ha di fatto ridotto la compagine vocale del Teatro: in scena si sono presentati 21 coristi (14 donne e 7 coristi).  Senza voler approfondire le dinamiche sindacali e pur nel rispetto delle decisioni altri, la scelta di mantenere integro il programma non ci è parsa felice. L’esecuzione di Beethoven, nonostante la buona volontà dei coristi rimasti, la ottima prova dell’orchestra e l’indiscutibile talento di Haenchen è risultata ovviamente sfalsata negli equilibri e davvero poco interessante. Andare avanti con le forze a disposizione è senza dubbio doveroso nel rispetto degli artisti che non aderiscono allo sciopero e del pubblico  pagante (cui, va detto, il sovrintendente Orazi ha comunicato la disponibilità del Teatro di rimborsare comunque il biglietto o commutarlo con altro spettacolo futuro); a condizione però che sia salvaguardata la qualità musicale. In questo caso, a nostro parere, si sarebbe potuto rinunciare alla Cantata e al limite mantenere la Messa schubertiana per consentire l’esibizione ai tre ottimi solisti: la splendida Barbara Bargnesi, e Blagoj Nacoski e Francesco Auriemma. Il concerto di ieri, del resto, può rappresentare un precedente pericoloso: se in un prossimo futuro un’altra dichiarazione di sciopero dovesse ad esempio dimezzare gli archi si manterrebbe la stessa linea? I frequentatori fedeli del Carlo Felice ricorderanno certamente le polemiche di alcuni anni fa con forti contrapposizioni interne sfociate addirittura in uno scontro fisico all’esterno del Teatro (era se non erro l’epoca di Pacor). Il clima oggi è del tutto diverso, per carità, ma viviamo in un contesto di fragilità e di tensioni generali e sarebbe consigliabile (a nostro parere, per carità) evitare di riportare tali tensioni all’interno del Torrione.

Il direttore e i tre cantanti solisti festeggiati al termine della Messa schubertiana

La magnifica Eroica

A riconciliarci con la musica è arrivata la Sinfonia n.3, creata da Beethoven subito dopo aver redatto il celebre Testamento di Heiligenstadt nel quale confessando la propria sordità aveva anche dichiarato di aver meditato il suicidio, ma di essere stato salvato dall’idea di poter fare ancora molto per l’Arte.

La Terza recava inizialmente il titolo in italiano «Grande Sinfonia, intitolata Bonaparte». Nel manoscritto le due ultime parole furono poi cancellate. Il segretario Anton Schindler nella sua biografia beethoveniana del 1840 descrisse l’artista infuriato contro la sete di potere dell’Imperatore francese. Recenti studi hanno ricostruito con maggiore precisione il processo creativo della Sinfonia. In un primo tempo Beethoven aveva in animo di dedicare la partitura a Napoleone nei confronti del quale, come molti suoi contemporanei, nutriva una profonda ammirazione. Poi la necessità di dedicare l’opera al nobile Lobkowitz che gli aveva promesso 400 ducati, lo aveva spinto a intitolarla e non dedicarla a Bonaparte.

L’incoronazione di Bonaparte disilluse i tanti intellettuali europei che nel grande condottiero francese avevano visto il simbolo dei nuovi ideali. Certamente costituì un colpo anche per Beethoven che anche in seguito, tuttavia, fu legato a Napoleone da un sentimento di odio e di amore. La Sinfonia ebbe una prima esecuzione in forma privata in casa del principe Lobkowitz. La prima esecuzione pubblica, al teatro An der Wien risale al 7 aprile 1805. Nel 1806 vennero pubblicate le parti d’orchestra e lì apparve il titolo «Sinfonia Eroica composta per festigiare il Souvenire di un grand’Uomo».

Per la prima volta Beethoven rinunciò all’Adagio introduttivo e preferì immettere l’ascoltatore immediatamente nell’Allegro con brio iniziale. Dopo due accordi violenti sono i violoncelli a esporre il tema iniziale basato sulle note dell’accordo di tonica. Del tema si appropria subito il corno che conferisce al discorso un tono epico; ed è poi l’orchestra nella sua globalità ad affermarlo con enfasi e violenza dinamica. Il primo tempo è insolitamente ampliato e vanta uno sviluppo di notevoli dimensioni elaborato da Beethoven con incredibile genialità.

Nel movimento successivo Beethoven sostituì il tradizionale tempo lento con una Marcia funebre, come aveva già fatto nella Sonata op. 26 per pianoforte. E’ un tema di desolante sofferenza in do minore che parte con i soli archi per poi estendersi anche ai fiati. Suoni cupi, momento di riflessione che nell’episodio in maggiore si anima nell’accompagnamento terzinato e in alcuni slanci di forte intensità a piena orchestra, per poi ripiegare nuovamente nel tema iniziale che si spegne sommesso, interrotto da pause, quasi un’eco ormai lontana. Contrasta in maniera notevole il successivo Scherzo, ritmicamente trascinante ed esplosivo. Chiude un “Allegro molto” in forma di variazioni, il cui tema, dopo un’articolata introduzione viene esposto dai legni in maniera elegante e morbida.

Lirismo, dunque, cupa tragedia, ironia, baldanzosi ritmi di danza: nella colossale partitura che spalancò le porte della maturità a Beethoven c’è tutto e dipanarlo, renderlo perfettamente individuabile, è tutt’altro che facile.

Haenchen, direttore di grande classe, ne ha regalato una interpretazione ineccepibile per coesione, per duttilità, per la capacità di cogliere i minimi particolari e nello stesso tempo offrire una visione d’insieme assolutamente trascinante.

Orchestra perfetta, ovazioni meritate.

 

Il pubblico

Da notare, ancora, molti posti vuoti in platea. Beethoven un tempo riempiva i teatri al pari di Puccini. Oggi sembra che manchino tanti fedeli frequentatori dei concerti e i vuoti sono meno evidenti grazie alla politica di apertura nei confronti dei giovani sostenuta dalla sponsorizzazione di Iren. Il ricambio generazionale è certamente un dato prezioso, ma recuperare anche quanti si sono perduti per strada sarebbe una bella conquista.