Cinema, l’immenso sforzo del “Colibrì” per restare fermo tra gli ostacoli della vita con un magistrale Pierfrancesco Favino

Ci andrebbe l’educazione sentimentale nelle scuole, insieme a quella civica. Due aspetti che, più di altri, formano una persona. Tanto più in quei casi singolari in cui è la natura a proteggerti, facendoti restare un po’ fanciullo. E capita molto più spesso di quanto si possa immaginare: cercate un report sulle cosiddette “iniezioni della crescita” somministrate all’anno per farvi una idea. Anche il protagonista Marco Carrera, magistralmente interpretato da Pierfrancesco Favino, da adolescente dimostra almeno 5 anni in meno della sua età e si sottopone alla classica cura ormonale, nonostante le resistenze di una mamma in lite con il papà ogni 3×2, senza sconti e senza teatralità. Anzi, ad andare in scena è la pochezza del vivere, negli anni Settanta come oggi, attraversando il mondo delle droghe, due scomparse premature, le innate rivalità tra i figli come in tutte le famiglie, le piaggerie borghesi, il mito delle villeggiature che ormai non esistono più, perenni incomprensioni, legami affettivi, sport e patologie della crescita, i primi amori e quelli a cui ci si aggrappa, tentando di salvarsi, ma facendo in realtà cadere nel baratro anche l’altro.

Un groviglio di emozioni che passa anche attraverso il male del secolo, il dolore di agonie fisiche e cerebrali, le resistenze di una moglie che non vuole più essere perfetta e finisce per covare un risentimento mortale, per risolversi nel passare da un genere sessuale all’altro con disinvoltura: basta profanare ogni volta la promessa fatta davanti a Dio e ai propri cari, come a riprendersi indietro qualcosa di sé, come a rivendicare la libertà del corpo di donna, stretto tra costrizioni sottolineate anche dall’insopportabile aderenza alla realtà richiamata puntualmente dall’analista Nanni Moretti, una spanna sopra a chiunque. Una figura esterna che tutto riunisce e che anche sul finale imprime grande umanità.

Il cast è insuperabile, ottima scelta per una convincente Kasia Smutniak e poi  Berenice Bejo, Laura Morante, Benedetta Porcaroli, Massimo Ceccherini, Fotiní Peluso e Pietro Ragusa, tra gli altri.  Cammeo irresistibile Ceccherini che porta una ventata di freschezza, seppur facendo riflettere sulle dinamiche escludenti del gruppo, anche da adulti.

Ovviamente qualche nota stonata c’é. Quanto è credibile un’ amante essenzialmente cerebrale? E che ad un certo punto della trama rivela una frattura imprevista ed insanabile: nella realtà sarebbe il classico punto di non ritorno, non c’è dubbio alcuno. Per non parlare della scarsa rappresentatività dell’ambientazione nel film rispetto a quella del libro, Premio Strega 2020 targato Sandro Veronesi. Non convince del tutto, poi, la scena di disperazione di un padre, d’improvviso su un ape, con una musica non adeguata. Grottesca più che drammatica.

Eppure sulla bilancia questi peccatucci non pesano: ottima la resa temporale che scorre da un capo all’altro senza apparente soluzione di continuità, enorme il coinvolgimento che suscita in un crescendo il dipanarsi delle scene capace di arrivare ad un futuro a portata di mano con un forte segnale di civiltà. Chi ha letto il libro già lo conosce, chi non lo ha ancora fatto resta stupito dalla figura del colibrì, soprannome affettuoso che resta appiccicato al protagonista tutta la vita, perchè mette tutta la sua energia per restare immobile dove si trova, come il pennuto sacro ai maya. Spesso ha accezione positiva, quale sinonimo del restare fedeli a se stessi. Si dice ad esempio  con il successo non è cambiato, è rimasto alle amicizie di un tempo oppure si elogia un figlio che anche da grande è sempre attaccatissimo ai genitori facendosi in quattro per loro. Eppure quanto dolore c’è in chi cerca di restare “puro”, chi è ancorato al tentativo di non essere felice sulle spalle degli altri e di non cambiare alle delusioni di una vita? Lo stesso che si prova quanto non si vive a fondo l’amore di una vita, quello che passa una sola volta. E poi può anche tornare, sì, ma non evolversi. Restando, però, sempre lì. A mezz’aria, nè troppo in alto nè troppo in basso, in un limbo di mezzo che non diventa terra promessa.