“La Tosca, la Tosca, per i crocicchi, e le vie, per le botteghe e le bettole di Porto Maurizio non so quante volte al giorno “muore disperato”!”. Lo scriveva nel 1911 a un amico il poeta e melomane Giovanni Boine. L’opera di Puccini, a undici anni dalla sua prima apparizione, era già allora fra i titoli più popolari: pagine come “Vissi d’arte”, “Recondita armonia” e “E lucevan le stelle” (con quella frase di Cavaradossi, appunto, “muoio disperato”) sono entrate subito nel cuore dei melomani di tutto il mondo.
La popolare opera pucciniana, forse uno dei titoli più sadici e tragici dell’intero repertorio operistico italiano (tutti ingannano tutti e tutti, buoni e cattivi, soccombono) verrà riproposta nell’allestimento che Davide Livermore realizzò con successo a Genova nel 2014 per poi riproporlo nel 2016.
L’appuntamento è per venerdì sera (ore 20) al Carlo Felice. Sul podio salirà Pier Giorgio Morandi. Nei ruoli principali figurano Maria Josè Siri, già applaudita nella parte di Tosca nel 2019, Riccardo Massi (Cavaradossi) e Amartuvshin Enkhbat (Scarpia).
“Tosca” approdò a Genova nello stesso 1900, al Politeama Genovese. Fu tale il successo che venne ripresa nella stagione successiva del 1901, sullo stesso palcoscenico. E lì accadde uno dei tanti incidenti che hanno accompagnato la storia di quest’opera. Lo scrisse il “Secolo XIX” in una sua cronaca dell’ottobre 1901: “I soldati incaricati di fucilare il povero Cavaradossi spararono per sbaglio qualche istante prima del momento voluto e per aria. E il momento fatale arrivò senza che avessero avuto il tempo di ricaricare. Cosicchè il disgraziato dovette stramazzare per conto suo. Un artista di commedia cui toccò una volta un caso simile ebbe almeno la soddisfazione di giustificare la propria morte col gridare cadendo: Muoio avvelenato”!
Va detto che la scena della fucilazione e della successiva morte di Tosca che si getta dalle mura di Castel Sant’Angelo (e, come è accaduto una volta per colpa di macchinisti buontemponi in un teatro americano, magari rimbalza su un tappeto elastico e magicamente “resuscita”!) è stata caratterizzata nel tempo da divertenti incidenti.
Ma non è la sola. Il grande baritono genovese Giuseppe Taddei, che ci ha lasciato ormai da qualche anno, ha ricordato durante una intervista una Tosca portata in un teatrino di provincia nella cittadina natale del cantante che interpretava la parte di Sciarrone. Scena incriminata, nel secondo atto, quella in cui Cavaradossi è sottoposto a tortura mentre Scarpia intrattiene Tosca e Sciarrone sta sulla porta pronto a intervenire. Chiese dunque Scarpia: «Sciarrone, che dice il cavalier?», aspettandosi la frase prevista: «Nega». E invece, a sorpresa, Sciarrone evidentemente emozionato nel trovarsi sul palcoscenico della sua città rispose: «Tutto». Dopo un attimo di sbigottimento, il baritono dimenticando la romanità del personaggio e tornando al dialetto genovese, apostrofò così il giovane collega: «Belin, Sciarrone, così finisce l’opera».
Ma tornando alla scena della fucilazione, traggo l’ultimo aneddoto da un piacevole libretto, Disastri all’opera, di Hugh Vicker che ambienta questo episodio a San Francisco nel 1961.
Dunque, l’innocuo plotone di esecuzione era composto da studenti universitari arruolati in tutta fretta e pieni d’entusiasmo, ma assolutamente ignari della trama dell’opera.
Preso dal turbinio delle prove con i protagonisti e annullata anche la generale per qualche defezione, il regista potè dedicare al plotone solo cinque minuti prima dell’inizio dello spettacolo.
Le istruzioni furono precise: «Quando il direttore di scena vi fa segno entrate marciando lentamente, aspettando che l’ufficiale abbassi la spada e poi sparate».
«E come ce ne andiamo?».
«Uscite con i protagonisti».
Il primo choc gli improvvisati soldati lo provarono quando, entrando sul palcoscenico si trovarono di fronte due persone e non una. Chi fucilare, dunque, la donna o l’uomo? Optarono per la donna ricordando il titolo dell’opera. Rimasero, a dire il vero alquanto stupiti quando si accorsero che la donna rimaneva in piedi e l’uomo pur lontano dal muro di fuoco cadeva esanime. Possiamo anche immaginare lo stupore del direttore d’orchestra e del regista, dietro le quinte. Ma non era finita ancora. Occorreva uscire. Stava accadendo il finimondo. Gente che entrava in scena, Spoletta seguito dai suoi e Tosca che correva rapida su per i bastioni. Non c’era tempo per riflettere. E così, mentre il sipario calava, il pubblico vide un intero plotone d’esecuzione suicidarsi gettandosi giù dalle mura…