Ricordo di Giuliano Montaldo

“Ho ancora negli occhi il vecchio Carlo Felice che appartiene alla mia infanzia. Non posso dimenticare i suoi ori, la sua eleganza, la sua imponenza. E ricordo che su quel palcoscenico ho fatto il mio debutto musicale. Avevo 8 o 9 anni, cantavo in un coro diretto da Angelo Costaguta che mi fece lavorare in Gioconda e in Tosca”.

Mi raccontava così il suo legame con il Carlo Felice il regista Giuliano Montaldo nel corso di una intervista realizzata nel 1993.

Montaldo ci ha lasciato nei giorni scorsi a 93 anni. Un grande artista genovese che ha firmato alcune tra le pellicole più importanti di questi ultimi decenni. Basta ricordare la trilogia sul potere: quello militare (Gott mit uns, 1970), quello giudiziario (Sacco e Vanzetti 1971) e quello religioso (Giordano Bruno 1973), senza dimenticare il tema della resistenza con

L’Agnese va a morire (1976). Al 1982 risale invece il kolossal televisivo Marco Polo (1982).

Montaldo pur vivendo ormai stabilmente lontano, non si era mai dimenticato della sua Genova dove, ricordava, era iniziata la sua carriera: “Da ragazzo – mi aveva raccontato – recitavo da dilettante in uno spettacolo. All’uscita da teatro un giorno mi fermò Carlo Lizzani che mi chiese di lavorare in un suo film. Debuttai così in Achtung banditi”.

Da lì poi il passaggio dietro alla macchina da presa fu rapido.

Il suo amore per la lirica lo ha poi portato verso la regia operistica: “Avevo appena concluso le riprese di Marco Polo quando l’Arena mi invitò a realizzare Turandot. L’idea mi incuriosì. Fino ad allora avevo frequentato la lirica da spettatore, mi affascinava la prospettiva di entrare nel meccanismo operistico che mi costringeva ad imparare tecniche e valori diversi. L’Arena ha il respiro del cinemascope, permette un certo tipo di movimenti. L’importante era capire le esigenze del cantante, molto differenti da quelle di un attore”.

Turandot ha impegnato proprio nel 1993 Montaldo a Genova: un allestimento di grande rilievo, affidato alla bacchetta di Zoltan Pesko e che è stato successivamente ripreso in più stagioni.

Personalità versatile, uomo di profonda cultura, professionista rigoroso e serio, Montaldo premiato nel 2007 con il David di Donatello alla carriera, lamentava una confusione di ruoli negativa per lo sviluppo culturale e artistico italiano: “Mi piacerebbe – diceva – girare un film su Turandot. Ma al di là delle mie aspirazioni personali, sono convinto che l’opera vada vista in teatro, dove si crea un rapporto stretto fra interprete e pubblico, dove si avverte l’emozione della recita. La sala cinematografica, invece, è il luogo ideale per seguire il film. Ci si trova in mezzo ad altri spettatori, si condividono le reazioni, si vive nella collettività: un film in TV, a parte le dimensioni dello schermo, è un’altra cosa. Lo si guarda rispondendo al telefono e con un occhio alla caffettiera sul fuoco”.