Pugnani rilegge il Werther di Goethe

Era il 1774 quando Goethe pubblicò il suo romanzo epistolare I dolori del giovane Werther. Fu un evento per la cultura del tempo, agitata da correnti di pensiero contrastanti, in un clima da “Sturm und Drang”  che annunciava l’irrompere del romanticismo nella letteratura.  Werther divenne presto un’icona in cui si riconobbero molti giovani di allora. Un quarto di secolo dopo a lui avrebbe guardato Foscolo per il suo Jacopo Ortis. E del resto, una storia così appassionata e tragica non poteva non affascinare anche i musicisti. Werther non ebbe il “successo” di Faust (altra figura fondamentale trattata da Goethe che riteneva Mozart l’unico in grado di musicarla), ma basta ricordare un capolavoro come il Werther del 1892 di Massenet per capire che la cornice musicale ben si adattava a metterne in luce la disperazione, i sogni e gli incubi del nostro sfortunato eroe.

Un secolo prima del capolavoro del raffinato artista francese, fu un italiano ad affrontare per primo in musica la creatura di Goethe, mostrando un gran bel coraggio. Gaetano Pugnani è oggi noto essenzialmente come insigne violinista, autore di molte importanti pagine per il suo strumento.

Il Carlo Felice, ieri sera, per la chiusura del Festiva di Nervi, ne ha proposto, in prima esecuzione moderna il melologo Werther. Uno spettacolo in collaborazione con il Teatro Nazionale di Genova. Sul podio dell’Orchestra (sottoposta in questi ultimi giorni a un vero tour de force fra concerto per Genova e Creature di Prometeo) è salito Alvise Casellati, mentre voce recitante è stato l’ottimo attore Graziano Piazza.

Serata di notevole interesse e spiace dover segnalare che la platea era assai poco affollata. In realtà la partitura di Pugnani si è rivelata una bella sorpresa.

Il melologo è una composizione che si basa su una recitazione in prosa accompagnata dalla musica. Un genere che ha avuto particolare successo in Germania, non solo come forma a sé (trattata da numerosi artisti, pensiamo ad esempio, a Liszt), ma anche come struttura inserita nel Singspiel: si può ricordare non solo Fidelio di Beethoven, ma anche Il franco cacciatore di Weber.

Il melologo ben si adatta, dunque, al romanzo epistolare, dove la musica ha la possibilità non solo di insinuarsi come duttile sottofondo fra le parole, ma anche di inserirsi tra una lettera e l’altra, diventando così il tessuto connettivo che unisce e commenta i frammenti della voce recitante. Musicista di solido mestiere, Pugnani ha evidenziato una ammirevole abilità nel fondere la tradizione italiana con quella sinfonica mitteleuropea: una partitura spigliata, fresca che accompagna le parole di Goethe con sensibilità, dando “voce” alla natura, ai sentimenti contrastanti del protagonista (qua e là si sentono richiami a Gluck), raffigurando con grazia la sensibilità di Lotte, dando eco alle danze alle quali Werther si abbandona in uno degli incontri fondamentali con la giovane amata. Un itinerario di profonda suggestione fino al colpo di pistola (preannunciato all’inizio al pubblico, onde evitare qualche spavento agli spettatori più sensibili) che tronca tragicamente la vita di Werther e chiude un percorso musicale quanto mai complesso, soprattutto se calato nel clima culturale italiano di quegli anni.

Corretta l’esecuzione da parte del direttore Casellati che ha rinunciato alla bacchetta per gestire direttamente con il gesto delle mani il rapporto con lo strumentale. Bravissimo l’attore Piazza che ha fatto rivivere pienamente le ansie e la disperazione di Werther. E molto bene l’orchestra con il primo violino Giovanni Fabris in evidenza. Da notare il vento che nel finale ha iniziato a battere impietoso non solo a rendere ancora più agitati i sentimenti di Werther, ma a compromettere l’equilibrio dei leggii e a muovere disordinatamente le pagine degli spartiti costringendo i musicisti a continui interventi con mollette e pinze.

Abbiamo ricordato il colpo di pistola e, riprendendo il programma di sala, si può citare un aneddoto relativo alla prima esecuzione privata del lavoro: “Quando l’opera fu terminata, il compositore la fece eseguire in casa sua davanti agli aristocratici e diplomatici torinesi… La rappresentazione dell’opera lasciò una grande impressione nel pubblico. Anche se Pugnani si spinse troppo oltre. Nel momento in cui Werther si tolse la vita, egli prese una rivoltella e sparò nella stanza accanto. Alcuni si spaventarono di ciò, altri pensarono che il violinista fosse diventato pazzo”.