Francesco Marziani, Changing my life

Ad un anno dalla pubblicazione, vi segnaliamo questo bellissimo disco del pianista jazz partenopeo Francesco Marziani, realizzato con la collaborazione di valenti musicisti quali Marco de Tilla  (contrabbasso), Massimo Del Pezzo (batteria), Giulio Martino (sax) e Flavio Dapiran (tromba e flicorno). Changing my life è il titolo di questo album pubblicato per l’etichetta Creusarte il 16 aprile 2020 e registrato al Goodfather Studio di Napoli  l’8 e 9 marzo appena in tempo prima del primo lockdown della primavera scorsa.

Si tratta di un lavoro articolato ed estremamente vario sia per l’eterogeneità delle formazioni (alcuni brani sono realizzati in trio, altri in quartetto, quintetto e piano solo) sia per l’alternanza di stili e mood dei pezzi. Le tracce sono 9 e comprendono composizioni originali dello stesso Marziani, riletture di standard jazz ed un pezzo classico.

Francesco Marziani è nato a Napoli il 9 giugno del 1980. Laureato al Conservatorio Martucci di Salerno in Pianoforte classico e Pianoforte jazz col massimo dei voti (oltre che in Giurisprudenza), ha ricevuto numerosi premi in concorsi musicali per solisti e gruppi jazz tra cui il titolo di primo classificato al “Premio “Massimo Urbani” nel 2008. Ha intrapreso in giovane età la carriera concertistica suonando in numerose rassegne musicali nazionali ed internazionali e collaborando con eminenti strumentisti.

L’ultima fatica di Marziani rivela un musicista nel pieno della sua maturità artistica, un pianista che conosce a fondo il linguaggio del jazz per averlo vissuto ed approfondito in tutti suoi aspetti, stili e protagonisti: la tradizione si sente, è solidamente presente in ogni brano, benchè rinnovata da frequenti spunti originali che guardano al futuro.

Le prime tre tracce sono tre brani scritti da Marziani. Changing my life, la title-track che apre l’album, è un bop post moderno che si sviluppa su un tema trascinante fin dalle prime note; in Song for Tony, dedicata al contrabbassista Tony Ronga prematuramente scomparso, il flicorno introduce “ex abrupto” una bellissima melodia vagamente monkiana con arpeggi in progressione, mentre il sax contrappunta in sottofondo per poi raccogliere il testimone da protagonista con un’elegante apertura del primo solo; segue With love from Napoli, brano eseguito in trio, un po’ più mosso del precedente fin dal fraseggio sereno del pianoforte sul quale si innesta il bel solo del contrabbasso, seguito da quello di Marziani che intraprende percorsi più ardui per poi ricreare nel finale l’iniziale atmosfera.

Quindi si prosegue con In your own sweet way, il noto standard che Dave Brubeck scrisse nel 1955 per la moglie, pubblicato per la prima volta l’anno successivo nell’album Brubeck plays Brubeck: qui il tema viene esposto dal sax di Giulio Martino, cui segue un dialogo affiatato tra i solisti che si rincorrono con un ottimo interplay. Sometime Ago, il raffinato tre quarti di Mihanovic, è eseguito in trio con gusto sobrio ed elegante essenzialità.

Ancora un brano di Marziani è Autumn drops, che parafrasa armonicamente Autumn leaves ma con un tema più ironico e ritmico, meno struggente e melodico rispetto allo standard più famoso di tutti i tempi: la linea è esposta dai fiati in parte all’unisono ma nel bridge, con un’efficace cambio timbrico, interviene il pianoforte; il pezzo scorre piacevolmente con i soli. Black Nile, tratto dall’album del 1964 Night dreamer di  Wayne Shorter, è il brano più “fast”, una vera esplosione di energia.

La penultima traccia coglie di sorpresa, con l’esecuzione in piano solo dell’Intermezzo 2 Op. 118 di Brahms: nel secondo gioiello di questo lavoro tardo del compositore tedesco (secondo di sei Pezzi che comprendono quattro Intermezzi, una Ballata e una Romanza) Francesco Marziani riesce a rendere perfettamente non soltanto il culmine poetico del tardo Romanticismo d’oltralpe, ma anche la condizione di serenità finalmente raggiunta, di pace interiore a lungo inseguita dell’ultimo Brahms.

E, per concludere, Duke Ellington, relax e distensione con Things ain’t what they used to be: un blues non può mai mancare in un disco di Jazz, perché rappresenta comunque un omaggio alle origini. Così come, in fondo, è forse da interpretare in modo simile la scelta di Marziani di porre Brahms ed Ellington a conclusione del disco: un sincero riconoscimento a due grandi, due emblemi, due colonne su cui poggiano le radici della formazione di questo pianista e compositore che ha dedicato e continua a dedicare la sua vita alla Musica con grande serietà, competenza e creatività.