Il giardino dei ciliegi: la lettura onirica di Alessandro Serra

Successo, al Teatro Ivo Chiesa, del “Giardino dei ciliegi” di Cechov prodotto da Compagnia Orsini, Accademia Perduta Romagna, Teatro Stabile del Veneto, TPE Teatro Piemonte Europa, in collaborazione con Compagnia Teatropersona, Triennale Teatro d’Arte di Milano. Drammaturgia, regia e scene portano la firma di Alessandro Serra. Interpreti: Arianna Aloi, Andrea Bartolomeo, Marta Cortellazzo Wiel, Massimiliano Donato, Chiara Michelini, Felice Montervino, Paolo Musio, Massimiliano Poli, Miriam Russo, Marco Sgrosso, Valentina Sperlì, Bruno Stori. Lo spettacolo sarà in scena fino a domani 30 maggio.

Quando si pensa alla messa in scena de Il giardino dei ciliegi è difficile non pensare e non essere condizionati dal famoso spettacolo di Strehler  con protagonista Valentina Cortese ed una splendida esordiente Monica Guerritore. Furono così tante le suggestioni che regalò quello spettacolo del  1978 che è davvero arduo dimenticarlo. Strehler  fu capace di mettere a fuoco ogni sfumatura presente nei vari personaggi,  come quel mondo descritto da Cechov che di lì a poco avrebbe subito inesorabili cambiamenti.

Del resto il testo è in bilico fra commedia e tragedia proprio per quella melanconia, figlia della nostalgia di un tempo che non potrà più tornare. Un testo fatto di luci e di ombre che ad un regista attento come Strehler ha dato spazio di giocare al meglio attraverso le personalità dei personaggi  e che ad Alessandro Serra ha offerto di soffermarsi di più sul chiaroscuro delle luci, sui costumi, sui corpi degli attori, costruendo coreografie e stimoli sonori .

Chiacchiericci, pianti, canti, risolini, russamenti, borbottii, e via dicendo non sono solo la colonna sonora di questa messa in scena , ma vera e propria parte integrante del testo. Una partitura emozionale messa in atto da un gruppo di esseri, inconsapevoli che il mondo che li racchiude sta per subire un radicale cambiamento.

Un momento dello spettacolo al Teatro Ivo Chiesa

Nessun mobile od oggetto o altro elemento concreto per  rappresentare quella casa dove si svolge il tutto, solo ombre che si riflettono sulle tre altissime pareti  completamente vuote come una tela su cui dipingere liberamente ciò che si vuole e si pensa. Il giardino è solo nell’immaginario, per questo è così bello e misterioso. E’ in questo mondo onirico e desolato che all’inizio i personaggi prendono vita, alzandosi da terra uno alla volta per muoversi poi da soli o in gruppo. Corrono, camminano in fila, si fermano come a mettersi in posa per una fotografia,  passando da stati gioiosi a fortemente depressivi come burattini le cui fila sono tirate da Šarlotta Ivanovna, ballerina – saltimbanco che sembra condurre tutti in una specie di danza di morte alla Strindberg.

E in questo gioco di luci e ombre le immagini supportano ( se non cancellano) le parole, tanto che anche il pubblico alla fine, rimane nostalgicamente intrappolato nella gigantesca catasta di vecchie sedie dell’ultima scena. Ma fuori il tempo scorre inesorabile e lancinante, abbattendo alberi e sogni, conferendo nuovi prestigi e posizioni, non curandosi di niente e nessuno.