Stefano Delfino: i miei 20 anni a Borgio Verezzi

Giornalista, per decenni responsabile della redazione imperiese della “Stampa”, Stefano Delfino da vent’anni è direttore artistico del Festival Teatrale di Borgio Verezzi, una delle “vetrine” estive di maggior richiamo nel panorama della prosa nazionale. Lo abbiamo incontrato alla scadenza del suo quarto mandato per fare il punto sul Festival.

 

-Come è iniziata la sua avventura a Borgio?

Nel 2001 l’allora sindaco Giancarlo Vadora mi chiese se me la sentivo di assumere l’incarico, non ho risposto subito ma ho preso tempo. Avevo un po’ di esperienza poiché, con ruoli diversi, dall’ufficio stampa al consulente della direzione artistica, ero all’interno degli ingranaggi del festival dal 1973. Mi sono consultato con alcuni amici del settore teatrale ed ho accettato solo dopo che mi sono sentito incoraggiato dai loro pareri positivi.

Sono, e sarò sempre, grato a Vadora per la fiducia che mi ha concesso (e per avermi difeso da incursioni esterne) e anche all’attuale sindaco Renato Dacquino: da entrambi ho avuto la massima libertà e ho potuto sempre fare le mie scelte senza condizionamenti, a parte quelli di tipo finanziario.

Liolà, con Giuli Corso premiato come miglior spettacolo nel 2020

-Qualche dato statistico.

Dalla nascita nel 1967 ad oggi il Festival ha proposto complessivamente 330 spettacoli. Dal 2002 al 2021, sotto la mia direzione, sono stati 190, di cui 161 in prima nazionale. Nei 35 anni precedenti, erano stati 140, dei quali 70 in prima nazionale.

In questi due decenni, il Festival si è definitivamente affermato in campo nazionale, grazie anche alla preziosa collaborazione dell’amministrazione e dello staff comunale. Quello di Borgio Verezzi adesso è un nome ben noto in Italia e anche all’estero, a giudicare dalle proposte che ogni anno mi giungono da vari Paesi stranieri.

 

-E’ sensibilmente cresciuto il numero delle prime nazionali…

È la caratteristica vincente del nostro festival: le compagnie vengono volentieri poiché si è sparsa la voce che debuttare qui porti fortuna. E poi il contributo alla produzione mi consente di intervenire sulla scelta degli interpreti, mentre l’obbligo di inserire il nostro logo sul materiale promozionale dello spettacolo durante le tournée costituisce un’eccellente pubblicità al Festival e porta il nome di Borgio Verezzi in giro per l’Italia.

55° festival: Tre uomini e una culla

 

-Come è cambiata l’organizzazione in questi vent’anni?

In questi decenni tutto il mondo è completamente cambiato, a cominciare dal segmento dell’informazione, e non è più, purtropopo, il tempo delle “vacche grasse”. E questo ha provocato ovvie ripercussioni anche sul festival. I classici, ad esempio, è sempre più difficile metterli in scena perché hanno molti personaggi, scene e costumi d’epoca. E di conseguenza costi insostenibili, il che induce molte compagnie a preferire testi contemporanei più agevoli da produrre.

 

-Lo spettacolo più amato.

Quando sono tutti figli tuoi non è facile avere preferenze. Però di uno sono particolarmente orgoglioso: “Figli di un Dio minore“, che in scena aveva un’attrice sordomuta e il protagonista Giorgio Lupano si esprimeva nel linguaggio dei segni. Non dimenticherò mai il silenzioso applauso finale di comitive di spettatori con questa disabilitá: una selva di mani agitate in aria. E nella memoria resta inciso anche il battimani che spontaneamente si è levato dai balconi e dalle terrazze di Verezzi verso i detenuti del carcere genovese di Marassi, mentre incolonnati e scortati dalla polizia penitenziaria attraversavano il paese dopo avere interpretato “Angeli con la pistola”.

 

-In vent’anni sono sfilati al Festival centinaia di attori

Alcuni di essi sono “vecchie conoscenze” di Verezzi, altri invece new entry, ma tutti entusiasti della location e dell’accoglienza, come ad esempio quest’anno Emilio Solfrizzi. Ne ricordo solo qualcuno, incontri dei quali sono orgoglioso: personaggi notissimi, come Il soprano Katia Ricciarelli, la cantante Tosca, monumenti del cinema come Isa Barzizza, Lisa Gastoni, Giovanna Ralli, Valeria Ciangottini e Toni Servillo, del jazz (Enrico Rava), del teatro napoletano (Luigi De Filippo), di quello spagnolo (il regista Rìcard Reguant). Senza dimenticare alcuni debuttanti illustri: Alessandro Gassman nella regia, il compianto giornalista Sandro Mayer e lo scrittore Carlo Lucarelli come autori teatrali. E questo senza tenere conto delle star del palcoscenico “prestate” alla tv.

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-Un aneddoto….

Ne ho parecchi da scovare negli anfratti della memoria. Mi limito a citarne uno: gli applausi che per tre sere il pubblico tributó alla scenografia di Alessandro Chiti in “Tango delle ore piccole” quando sul palcoscenico irrompeva a sorpresa la prua di una nave. In mezzo secolo di teatro da spettatore, mai ho sentito batter le mani alla scena.