Peachum, Paravidino rilegge Brecht e Gay

Nel 1728 al Lincoln Inn Fields Theatre di Londra debuttò la ballad-opera The beggar’s opera (L’opera del mendicante). L’autore del testo era il poeta e scrittore satirico John Gay e lo spettacolo, rivestito della musica che Chriostopher Pepusch trasse dal repertorio popolare, ebbe un notevole successo. Gay mise in scena un mondo di poveracci, di mendicanti che costituivano allora un fenomeno sociale di vaste proporzioni. Attraverso questi personaggi tratti dall’attualità il testo costituiva una violenta satira di costume, un attacco molto forte alla corruzione, alla prepotenza dei più ricchi, alle diseguaglianze sociali.

Due secoli dopo, nel 1928, Brecht riprese il testo di Gay, lo riadattò al suo tempo e scrisse L’opera da tre soldi. Un capolavoro teatrale e un’altra violenta accusa alla decadenza della società del primo Novecento nella fase fra le due guerra mondiali.

Ieri sera al Teatro Ivo Chiesa Fausto Paravidino ha messo in scena il suo testo Peachum, un’opera da tre soldi(una produzione del Teatro Nazionale con gli Stabili di Bolzano e di Torino), liberamente tratto, appunto, da Brecht.

Paravidino, dunque, ha riletto la vicenda del ladro e assassino Mackie Messer e del re dei mendicanti Peachum attualizzandoli, facendo del primo un naziskin e del secondo un mercante senza scrupoli.

Il gioco funziona e lo spettacolo non manca di belle intuizioni, oltre che di divertenti gags, grazie alla verve degli attori fra i quali spicca Rocco Papaleo (Peachum) e lo stesso Paravidino (Messer). Forse l’autore e regista ha peccato in qualche eccesso, caricando troppo il testo di contenuti che alla fine non trovano un loro assetto equilibrato nel contesto drammaturgico. Non convince, poi il finale. Nella cittadina arriva in visita il Papa: l’idea è quella di mettere in bocca al Santo Padre una sorta di morale con un’assoluzione generale, ma il meccanismo sembra forzato e a suscitare un ulteriore imbarazzo è arrivata anche una voce isolata e contestatrice dalla platea (voluta o imprevista?). Insomma il finale a nostro parere andrebbe rivisto, così come sarebbe magari funzionale ripensare al ruolo della musica: due chitarre elettriche sul palco per limitarsi con qualche eccesso sonoro ad accompagnare monologhi particolarmente violenti, sembrano sprecate. Ricordando Gay e Brecht (quest’ultimo con le magnifiche canzoni di Weill) sarebbe forse produttivo inserire qualche momento cantato.

Applausi a tutti: con Papaleo e Paravidino c’erano Romina Colbasso, Marianna Folli, Iris Fusetti, Davide Lorino, Daniele Natali.

Repliche fino  a domenica.