Maria Stuarda, il grande teatro di Schiller

“Qui non si tratta di giustizia, oggi si fa politica”. E’ una frase tratta da Maria Stuarda lo splendido testo di Schiller che nella intelligente e lucida traduzione di Carlo Sciaccaluga, ieri ha inaugurato la stagione del Teatro Nazionale.

L’ampia platea del Teatro Ivo Chiesa era per l’occasione affollata e bene ha fatto il pubblico ad accorrere (e bene faranno altri spettatori a seguire le repliche) perché si tratta del migliore spettacolo di questi ultimi due o tre anni.

Schiller scrisse la tragedia dedicata al grande scontro fra le due regine (Maria Stuarda e Elisabetta) nel 1800, il suo primo testo, dunque, dopo la rivoluzione francese. E il tema della opportunità (etica e politica) di giustiziare una regina è uno dei grandi motivi di riflessione di un dramma che, come tutti i classici parla con un linguaggio moderno alla nostra contemporaneità.

Lo spettacolo messo in scena dal Teatro Nazionale ha molteplici punti di forza.

Innanzitutto, oltre alla citata traduzione di Sciaccaluga, la visione registica di Livermore che ancora una volta guarda ad un teatro “globale” nel quale prosa e musica possano trovare un loro equilibrio narrativo. Ecco dunque una partitura musicale creata da Mario Conte (elettronica) e la sempre più brava Giua (splendida voce e chitarra roboante) che non solo crea le atmosfere della vicenda (le morbide allusioni al Cinquecento e Seicento inglese e, per contro, le durezze rock ben adatte agli accesi scontri verbalki), ma detta i tempi della narrazione. Ne viene fuori quasi una sorta di Singspiel in cui prevale certo la prosa, ma nel quale si affacciano anche frequenti melologhi oltre alle arie risolte da Giua sempre presente al lato del palcoscenico.

Altro punto di forza, la sospensione dell’ambientazione in un tempo indeterminato che accentua la modernità e la contemporaneità di Schiller. L’allestimento scenico di Lorenzo Russo Rainaldi si basa su un impianto essenziale: una passerella in alto dalla quale scendono due robusti scaloni di metallo e in basso pochi elementi scenici. In questo contesto assumono valore essenziale anche i costumi: quelli per tutto il cast, perfettamente calati nella sospensione temporale, di Anna Missaglia e quelli, invece, allusivi all’epoca storica delle due regine firmati da Dolce & Gabbana.

Infine, last but non least, il cast dominato da due autentiche regine.

Come aveva anticipato nel corso della conferenza stampa di qualche giorno fa, Livermore ha inventato il gioco delle parti, affidando alle due protagoniste, Laura Marinoni e Elisabetta Pozzi, entrambi i ruoli principali da spartirsi non secondo un calendario stabilito, ma su base aleatoria. Lo spettacolo dunque si apre con un prologo (a imitazione del teatro barocco) in cui un angelo dall’alto fa cadere verso le due attrici, una piuma che indicherà quale delle due vestirà i panni  di Maria e, di conseguenza, quali quelli di Elisabetta

Ieri sera la piuma è scesa verso Laura Marinoni affidandole la sofferta parte di Maria. Al di là della distribuzione e del “gioco” (davvero affidato alla bizzarria di una piuma? Quanto conta nella casualità la posizione del braccio dell’angelo sospeso sulle due teste coronate?) certo è che la Marinoni e la Pozzi hanno dimostrato di essere due fuoriclasse dando vita a uno scontro di rara potenza drammatica e di profonda passionalità espressiva. Ineccepibile del resto anche tutto il cast, cinque artisti che hanno dovuto dividersi fra numerosi personaggi, tutti risolti con bravura: Gaia Aprea, Linda Gennari, Giuancarlo Judica Cordiglia, Olivia Manescalchi e Sax Nicosia.

Applausi finali interminabili. Da non perdere.