Attualità e fascino dei “Racconti della peste”

Nel 2015 lo scrittore Premio Nobel Mario Vargas Llosa scrisse I racconti della peste ambientati nella Firenze del Trecento, protagonista Giovanni Boccaccio che per sfuggire all’epidemia si rifugia in una villa in campagna con quattro amici. E lì in un gioco che mescola continuamente la realtà con la fantasia, ci si immerge in un’altra dimensione, nella quale ogni personaggio è contemporaneamente se stesso e altro, fino all’annuncio della fine della pandemia e dell’apertura della “zona rossa”. Mario Vargas Llosa  riprende dunque “Decameron”, anzi, mettendo in scena lo stesso Boccaccio, ne immagina in qualche modo la genesi.

Ma, pensando al covid, alla pandemia, all’isolamento in cui si è stati tutti costretti per mesi, il testo di Llosa, pur redatto anteriormente, si arricchisce di significati ancora più profondi, perché in questi cinque poersonaggi che tentano di sfuggire alla morsa della peste ci si può identificare tutti.

I racconti della peste sono andati in scena, ieri sera al Teatro Duse in uno spettacolo coprodotto dal Teatro Nazionale di Genova con il Teatro Stabile di Catania. La regia porta la firma di Carlo Sciaccaluga che ha saputo garantire una lettura efficace di un testo tutt’altro che facile per la sua almeno apparente disorganicità, nel passare dalla realtà alla fantasia, saltando da un racconto all’altro in un mutare di toni e di livelli narrativi.

Un momento dello spettacolo (foto Antonio Parrinello)

 

La scena, ideata da Anna Varaldo, propone l’interno di una villa semidiroccata con oggetti sparsi (alcuni dei quali diventano fantasiosi indumenti per connotare i diversi personaggi dei racconti), elettrodomestici mezzi distrutti. Una pedana circolare mobile posta al centro e illuminata da una corona di luci sovrastante è il palcoscenico dei racconti e la musica ideata da Andrea Nicolini (spesso aggressiva, ritmicamente percussiva) fornisce un ulteriore, efficace contributo alla resa scenica del lavoro.

Sciaccaluga utilizza diversi registri di voce, ironizza sulla scurrilità di alcune novelle (l’annaffiatoio e gli imbuti a rappresentare l’atto sessuale), gioca intelligentemente sui livelli narrativi.

Lo supporta assai bene l’ottimo cast formato da Angelo Tosto (il duca Ugolino) , Barbara Gallo (Aminta, la contessa di Santa Croce), Roberto Serpi (Boccaccio), Giorgia Coco (Filomena) e Valerio Santi (Panfilo): tutti molto bravi e perfettamente affiatati, sì da garantire un efficace ritmo allo spettacolo.

Una breve annotazione di cronaca: nel finale, fortemente drammatico e volutamente “rallentato” da pregnanti silenzi, ha fatto da involontario sfondo musicale la penetrante voce di Al Bano che al Politeama Genovese cantava Nel sole!

Applausi calorosi, repliche fino al 22.