Anna Bolena, la prima grande regina donizettiana

“Cara Signora mia rispettabile e moltissimo amata, godo nell’annunziarle che la nuova opera del suo innamorato e celebre marito ha avuto un incontro quale non sarebbe stato possibile sperare migliore. Successo, trionfo, delirio, pareva che il pubblico fosse impazzito, tutti dicono che non ricordano di aver assistito mai ad un trionfo siffatto!”. Scriveva così Gaetano Donizetti alla moglie dopo la prima di Anna Bolena al Teatro Carcano di Milano il 26 dicembre 1830. Un successo notevole che lanciò definitivamente il compositore a livello internazionale.

Quasi cento anni dopo, nel 1957, fu ancora Anna Bolena a costituire un nuovo punto di partenza per la rivalutazione del teatro drammatico donizettiano: l’occasione fui la ripresa scaligera dell’opera da parte di Gianandrea Gavazzeni, direttore illuminato che propose una edizione straordinaria con la regia di Luchino Visconti e l’interpretazione di due star indiscusse quali Maria Callas e Giulietta Simionato.

Venerdì 18 prossimo Anna Bolena andrà in scena al Carlo Felice a completamento del trittico donizettiano aperto anni fa da Roberto Devereux e proseguito poi con Maria Stuarda.

L’opera donizettiana manca dalla nostra città dal 1869, anno in cui venne rappresentata al Teatro Doria successivamente trasformato nel Politeama Regina Margherita. Il vecchio Carlo Felice del Barabino lo aveva proposto l’ultima volta nel 1851.

L’allestimento odierno è una coproduzione fra il Carlo Felice e il Regio di Parma che lo ha messo in scena nel 2017. Qui era programmato già in passato ma il covid ha determinato lo slittamento.

Il cast prevede Angela Meade (Anna Bolena), Nicola Ulivieri (Enrico VIII), Sonia Ganassi (Giovanna Seymour), John Osborn (Lord Riccardo), Marina Comparato (Smeton), Roberto Maietta (Lord Rochefort) e Manuel Pierattelli (Sir Hervey). Sul podio salirà Sesto Quatrini, già assistente di Fabio Luisi al Metropolitan e grande appassionato del belcantismo italiano. La regia porta la firma di Alfonso Antoniozzi.

Una scena dell’opera

 

Scritta su un lucido libretto di Felice Romani, Anna Bolena evidenzia appieno il ruolo giocato da Donizetti nel teatro tragico italiano. Il suo apporto principale consiste nella struttura formale: proseguendo sulla strada avviata da Rossini (la cui carriera si era chiusa con Guglielmo Tell proprio l’anno prima del debutto di Anna Bolena, nel 1829) il musicista bergamasco accentuò le tensione interne, creò una maggiore dialettica drammaturgica fra le varie forme chiuse, edificò ampie architetture sceniche collegando elementi differenti grazie ad un unico piano narrativo. La forte passionalità che attraversa la trama e travolge i personaggi trova nella musica di Donizetti una puntuale amplificazione sicchè la compenetrazione fra dramma, azione e musica appare perfetta, anticipatrice delle grandi tragedie verdiane.

Riprendendo quanto fatto a Parma, anche l’edizione genovese non sarà integrale ma avrà alcuni tagli. La scelta non ci scandalizza affatto. Quando Gavazzeni riprese l’opera, togliendola da un polveroso scaffale, i tagli li fece, consapevole che uno snellimento della partitura avrebbe giovato all’economia dello spettacolo.

Oggi a distanza di quasi settant’anni i direttori tendono ad aprire tutti i tagli e a puntare in nome di un rigore filologico al rispetto totale del manoscritto (ad allontanarsene fantasiosamente pensano i registi). Atteggiamento rispettabile, non sempre però foriero di soluzioni condivisibili. Il discorso è delicato e non lo si può generalizzare, naturalmente. Spetta all’intelligenza interpretativa dei direttori la scelta. Ci sono casi in cui l’apertura dei tagli consente una comprensione maggiore del valore della partitura, ma ci sono anche casi in cui il rischio è un appesantimento inutile. Senza contare le riletture fuorvianti in caso di ripescaggi di versioni volutamente accantonate dal compositore (si pensi al Fidelio). Del resto, non è assolutamente detto che la prima esecuzione sia sempre la preferibile (e la preferita dall’autore).