Akropolis, la danza dei Lauro apre il Festival Testimonianze ricerca azioni

Nel gioco degli scacchi il termine ZugZwang indica una situazione di stallo o, meglio, un momento della partita in cui il giocatore è costretto a fare una determinata mossa, pur sapendo che gli porterà uno svantaggio. Un obbligo a muovere, insomma, pur di stare nel gioco. Citato nel film “Nobody” di Jaco Van Dormael, lo ZugZwang è stato il principio ispiratore del lavoro coreografico di Elisabetta e Gennaro Lauro, presentato in anteprima nella serata inaugurale di Testimonianze ricerca azioni, il Festival del Teatro Akropolis, assieme ad altri due lavori molto interessanti: il pluripremiato “Dodi” di Sofia Nappi/Komoko e “Anonima” di Cecilia Ventriglia.

In un teatro completamente rinnovato, con uno spazio scenico modulabile sulla base delle esigenze di ciascuno spettacolo, Testimonianze ricerca e azioni apre all’Akropolis una finestra sulle arti performative contemporanee: l’obiettivo è guardarsi attorno e guardarsi dentro, trovando nuovi impulsi e nuove motivazioni per essere sul palco e  per comunicare al pubblico il senso di un tempo molto difficile da afferrare. In cinquanta minuti di performance, “ZugZwang” riesce a raccontare molto della nostra epoca. I due danzatori, fratello e sorella, vestiti semplicemente con pantaloni e maglietta, occupano il piano di una scacchiera alla quale sono stati tolti i riquadri neri. Nel bianco sfolgorante, amplificato dalle luci, incarnano 63 figure, alle quali, in fase di studio, come si scopre leggendo i saggi nel volume dedicato al Festival, sono stati dati i nomi delle persone appartenenti alla loro famiglia.
I corpi dei due danzatori fluiscono da una figura all’altra, cambiando ogni volta il rapporto fra di loro e con lo spazio. Prima rigidi, poi concitati, perfino affannati, comunicano uno spaccato della nostra coazione a muoverci: come se il movimento superficiale, i vari impegni e le scadenze di ogni giorno, dicessero davvero qualcosa di noi e non ci allontanassero, come invece accade, dal nostro modo più profondo di esistere.
Una parte fondamentale nella costruzione di un mondo astratto, ma non troppo, è svolto dalla musica di Amedeo Monda: un flebile suono di armonica, sostituito dalle campane, da arpeggi sulle corde della chitarra, in un accompagnamento essenziale e necessario. Carne, sguardi, labbra, gocce di sudore: la danza dei Lauro è fisica e, insieme, spirituale. Perché in quel non vedersi e poi cercarsi, in quei gesti così legati alla quotidianità, ma resi densi dalla presenza, si ritrae il senso di un andare verso l’altro per fondersi nel passato comune, in quella memoria che vive anche quando sembra estinta e che si manifesta, rendendo possibili gli incontri.

Gli applausi convinti alla fine, che premiano anche gli altri due spettacoli, sanciscono una necessità impellente: quella di tornare a guardare il nostro tempo tenendo per mano gli artisti che, spesso, vedono la strada meglio di noi.

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