Fantozzi una grande maschera genovese

Caro Villaggio, com’è umano lei  e come ci sembra più crudele lasciandosi alle spalle la zavorra che,  negli ultimi film si raggruma,  in luoghi comuni .

Con “Fantozzi una tragedia”, una produzione del Teatro Nazionale di Genova, Enfi, Nuovo Teatro Parioli, Geca Animation, in prima alla Corte con regia di Davide Livermore, è arrivato il  momento di riscoprire il pirotecnico uomo in grigio che ha regalato a milioni di italiani la possibilità di ridere dei propri difetti, e più ancora del proprio destino, caricandoseli addosso.

La scossa salutare alla routine di una celebrità  arriva da un percorso drammaturgico (di Livermore stesso, Gianni Fantoni, anche protagonista, Andrea Porcheddu, Carlo Sciaccaluga) che tratteggia uno straordinario affresco sociale per paradossi.

Va visto con la certezza che Villaggio, colpito da una passionaccia inesauribile per il teatro, dai suoi esordi giovanili come feroce Krantz alla Borsa di Arlecchino all’Avaro” di Molière prodotto dal Piccolo di Milano e rappresentato sul palcoscenico dello Stabile di Genova, guarderebbe con complicità e soddisfazione  questa riproposta del suo personaggio iconico che non ha mai varcato la quarta parete dello schermo .

La parola tragedia, qui intesa  anche come sinonimo di disincantata e nostalgica malinconia,  di ilare disperazione,  non deve stupire. E’ una variante del carattere di Villaggio-Fantozzi  dal quale egli stesso non si poteva  staccare neppure quando si toglieva la maschera. E che ne fa un classico, anche se poi, come si è appena detto,  una certa stanchezza e la necessità di andare sul sicuro al botteghino,  ha portato a trascurarla, a insistere soltanto su elementi buffoneschi che certamente infastidivano anche lui, mortificando la  sua comicità, che arriva meglio dopo uno schiaffo.

Un momento dello spettacolo (Foto Nicolò Rocco Creazzo)

E’ quello che accade nello spettacolo dove il riconoscimento alla classicità di Fantozzi non scaturisce soltanto dalla possibilità di respirare questo carattere e questi umori, che sfiorano il sublime e si librano sulla poesia nella scena del volo sognato nell’ufficio deserto, uno squarcio di teatro da manuale,  o la muta difesa della  figlia Mariangela dileggiata per la sua bruttezza.

E’ classica l’impostazione, dal prologo, all’epilogo,  all’uso dei personaggi in funzione di Coro. Per non parlare  al mix linguistico , agli innesti sui libri (“Fantozzi”, “Il secondo tragico Fantozzi”, “Fantozzi contro tutti”) di parole di Sofocle (“Filottete”, tanto parlare di destino beffardo e ineluttabile) e Shakespeare. con un accenno al monologo di “Amleto” all’inizio e con l’accostamento finale tra lo scheletro del comico contemporaneo e il teschio di Yorick, il giullare del principe di Danimarca.

La citazione di Shakespeare, giustifica, se così può dire,  anche certe volgarità  nella successione dei quadri famosi sventagliata davanti alla platea: non mancano  e,  certamente,  non tutte sono necessarie nell’insistenza e nelle sottolineature, ma , in questa particolare ricerca del sublime che passa dal ristorante giapponese, alla festa di Capodanno, al cineforum dove si proietta corazzata Potemkin,  fanno da controcanto come succedeva al Globe.

L’idea di trattare Fantozzi come ultima maschera della Commedia dell’Arte, oltre che come protagonista tragico,  ineccepibile di per sé , può generare il “mostruoso” sospetto di una caduta negli stereotipi che si vogliono evitare. Li allontana la grande bravura degli attori che sostengono sempre il mestiere con l’anima: da Paolo Cresta a Giuliano Dessì, Lorenzo Fontana , Rossana Gay, Marcello Gravina, Simonetta Guarino, Ludovica Iannetti ,Valentina Virando,  le “variazioni sul tema” con pezzi di teatro nel teatro, e i gustosi battibecchi sul sessismo maschilista ma anche femminista volano senza intoppi.

Nella parte di Fantozzi , Gianni Fantoni, come sempre accade quando si ripropone il lavoro di artisti che hanno lasciato un imprinting indelebile sui loro personaggi, da Totò a Eduardo, da Govi a Dario Fo , ha dovuto camminare sull’asse di equilibrio che separa la credibilità dallo scimmiottamento. La scommessa era ancora più difficile per lui  che ha lavorato al cinema con Villaggio  e  ha collezionato successi televisivi imitandolo . Ma ha dimostrato alla grande di non vivere di questa rendita e di innestare un’altra marcia vincente.

Le scene di Lorenzo  Russo Rainaldo sono disegnate soprattutto dalle luci incisive di Aldo Mantovani e dalle musiche evocative di Aldo Frizzi ma non mancano altre altri tocchi di geniale presa di distanza dal realismo cinematografico:  come nella danza delle palline della partita a biliardo o la “Bianchina” messa in moto dal movimento degli attori.

Strada facendo, si vedrà se Fantozzi è davvero pronto ad essere  “sdoganato” anche da altri interpreti come avviene per Fo e De Filippo o se questo è un miracolo isolato. Grande idea, intanto,  averne sottolineato la capacità di dialogo con il pubblico giovanile paragonando con il nostro presente le sue miserie,  confortate da assunzione a tempo indeterminato, ferie garantite, mutuo pagabile e famiglia possibile.