Con Ava Bahari e l’Orchestra Paganini largo ai giovani

Dopo In Mo Yang, il Paganini Genova Festival ha ospitato ieri sera nella splendida cornice del Palazzo della Meridiana, un’altra straordinaria violinista segnalatasi al Premio Paganini, Ava Bahari. La concertista, terza nell’edizione del 2021, già allora aveva evidenziato carattere e qualità di prim’ordine.

E ieri ha regalato uno splendido concerto con il prezioso supporto della giovane e solida Orchestra Paganini diretta da Vittorio Marchese.

Programma scelto con intelligenza, particolarmente piacevole.

In apertura il Concerto in do maggiore per violino e orchestra di Haydn. Nonostante sia un nome fondamentale della storia della musica, “Papà Haydn” (come lo chiamava affettuosamente Mozart) non ricorre in maniera frequente nei cartelloni sinfonici, al di là di qualche Sinfonia abbastanza nota. In realtà anche il settore concertistico meriterebbe una certa attenzione. E il Concerto ascoltato ieri offre momenti di fresca inventiva a cominciare dal piglio dell’Allegro iniziale per passare poi all’Adagio dalla intensa cantabilità. La Bahari ne ha offerto una interpretazione  delicatissima con una ammirevole cura del suono. Marchese l’ha assecondata con misura in tutti e tre i movimenti.

Poi due pagine diametralmente opposte di Paganini. Nel Cantabile (in origine per violino e pianoforte qui con una trascrizione orchestrale a cura di Andrea Piras) la violinista ha confermato la sua verve lirica mentre nelle successive variazioni dal Carnevale di Venezia ha sciorinato il suo stupefacente bagaglio tecnico. Le variazioni paganiniane offrono un’antologia pressochè completa di tutti gli effetti e le soluzioni tecniche possibili sullo strumento ad arco: un tour de force incredibile. La Bahari (dopo un siparietto simpatico con Marchese “invitato” a farsi da parte e a lasciare orchestra e solista a far da soli) ha conquistato il pubblico con un virtuosismo straordinario: intonazione perfetta, acrobazie limpide, pizzicati con la destra e la sinistra, armonici, il tutto restituito con apparente tranquillità.

Una autentica ovazione al termine per la simpatica artista che vorremmo risentire presto.

L’Orchestra ha accompagnato in maniera ineccepibile la solista nelle tre partiture e si è ritagliata poi il suo meritato momento di gloria proponendo nella seconda parte lo splendido Divertimento per archi di Bartok.  E’ l’ultima partitura scritta da Bartok in Europa prima di rifugiarsi negli Stati Uniti e condensa umori differenti dalla esuberante scrittura del primo movimento che richiama a una rustica danza contadina al clima cupo e riflessivo del secondo al vivace finale in forma di rondò che mescola elementi diversi inclusi un articolato episodio fugato. Vittorio Marchese ha lavorato con attenzione e intelligenza, curando meticolosamente le diverse sezioni strumentali, l’Orchestra, e ormai non è più una novità, è stata positivamente reattiva  tanto nelle sue prime parti (in evidenza il primo violino Yesenia Vicentini) quanto nella fila. Una lettura incalzante e assai godibile.

Applausi prolungati e meritati.